La Repubblica, 13 giugno 2017 - Il boom dell’energia pulita.
Sole e vento a buon mercato per far decollare il continente. Ancora
un anno fa, i modelli econometrici preparati dagli uffici studi delle
grandi compagnie petrolifere non lasciavano dubbi: fino al 2040, i
combustibili fossili – petrolio, gas, carbone – sarebbero stati i
padroni del mix mondiale dell’energia. E pazienza per le conseguenti
emissioni di Co2 e l’effetto serra. Inevitabile, dicevano gli economisti
di Big Oil, come la matematica: basta ricordare che i paesi emergenti
sono diversi dai paesi sviluppati. Un’economia moderna consuma sempre
meno energia: Google ne ha bisogno di una quota minima rispetto ad una
grande acciaieria. E, dunque, in Occidente se ne consuma sempre meno. Ma
i paesi emergenti funzionano ancora vecchio stile, sono quelli delle
acciaierie e continueranno a divorare energia. Saranno perciò i consumi
della Cina, dell’India, dell’Africa ragionavano a Houston, ad assicurare
un sereno futuro, almeno per qualche decennio, a Big Oil.
E, invece,
no. I dati di questi mesi dicono che Cina e India si stanno muovendo
con velocità inaspettata verso ritmi da Vecchio Mondo, riducendo
drasticamente il rapporto tra energia e sviluppo, cioè la quantità di
energia necessaria a generare un dollaro di prodotto interno lordo in
più. A Parigi, alla conferenza contro il riscaldamento globale del 2015,
Pechino e New Delhi avevano preso impegni per bloccare questo rapporto e
contenere le emissioni di Co2, fissando il traguardo al 2030. Ci
arriveranno 10-15 anni prima del previsto, compensando l’anidride
carbonica in più che emetterà l’America di Trump. A Houston, insomma,
non avevano calcolato la velocità di diffusione delle energie
rinnovabili. Dovranno rivedere i loro calcoli. Anche più di una volta.
Perché qui vale l’effetto-valanga. Con Cina e India c’è il resto del
mondo in via di sviluppo, a cominciare dal grande gigante addormentato:
l’Africa. Gli economisti (anglosassoni) lo definiscono “il salto della
rana”. È il processo per cui un paese arretrato salta diversi stadi di
sviluppo, portandosi al livello dei paesi più avanzati. Uno spettacolare
salto della rana lo abbiamo visto con i telefoni. L’Africa ha
scavalcato a pie’ pari la fase del telefono fisso e via filo per
approdare direttamente ai cellulari. Può avvenire lo stesso con
l’energia? La partita ha un impatto diretto sulle emissioni di Co2
mondiali e sull’effetto serra, pari all’arretrato di energia del
continente più povero. Oggi, 175 milioni di nordafricani consumano,
ognuno, 1.574 kilowattora (kwh) l’anno. I 327 milioni di abitanti
dell’Africa occidentale soltanto 188 a testa e i 303 milioni dell’Africa
orientale neanche la metà. Per forza: a ovest solo metà degli abitanti
ha accesso all’elettricità e a Est un quarto. Darla agli oltre 600
milioni di africani che, oggi, non saprebbero dove infilare una spina,
significa raddoppiare, probabilmente triplicare i consumi di
elettricità. E, quindi, secondo i parametri di oggi, i consumi di
combustibili fossili, visto che la corrente, in Africa, arriva
soprattutto da carbone, petrolio, carbone, mentre le rinnovabili toccano
appena il 5%. Tuttavia, la logica economica dice il contrario: il
rapporto va invece rovesciato, i livelli di energia eolica e solare del
2013 vanno moltiplicati per dieci. Non costa poco. Secondo l’Irena,
Agenzia internazionale per le energie rinnovabili, vuol dire investire
70 miliardi di dollari l’anno fino al 2030. Anche le centrali
tradizionali, però, andrebbero costruite e costano. E le rinnovabili
sono una opportunità. «Le risorse dell’Africa in materia di vento e di
sole sono gigantesche», dice Duncan Callaway, che le ha inventariate per
l’università di Berkeley. E sono convenienti. Eddie O’Connor, ad di
Mainstream, società irlandese che, insieme al fondo Rockefeller e alla
Banca Mondiale sta investendo nelle energie alternative del continente,
non ha dubbi: «In Sudafrica, un kilowatt da vento costa il 50% in meno
di un kilowatt da carbone». In realtà, è anche difficile tenere il
conto. L’Irena, nel 2014, aveva calcolato, per il fotovoltaico, un costo
a kilowatt fra 13 e 26 centesimi di dollaro e sembrava un successo un
appalto sudafricano a 7,5 cents. Ma l’ultima commessa in Marocco prevede
la fornitura da fotovoltaico a 3 cents al kwh. In Egitto, l’energia
eolica non vale più di 4 cents. I combustibili fossili costano oramai
anche il doppio. Commesse, appalti, progetti, spesso con
finanziamenti internazionali, si moltiplicano. In Marocco, un paese
abituato a importare il 96 per cento del suo fabbisogno di energia, il
complesso di quattro centrali solari di Noor potrà generare energia per
560 Megawatt, l’equivalente di una buona centrale tradizionale. A questo
si affiancano le 5 centrali eoliche che l’Enel costruirà per 850 Mw,
quanto metà di un grosso impianto nucleare. Un altro grappolo di
centrali solari, a Ben Ban, nell’Alto Egitto, avrà una capacità di quasi
2 Gw, più della centrale atomica finlandese di Olkiluoto. Fra tre anni,
il Marocco solo con il solare coprirà il 12 per cento del suo
fabbisogno energetico, l’Egitto l’8, l’Algeria il 15 per cento. Fra il
2013 e il 2014 la produzione di energia eolica è quasi raddoppiata a
Nord, a Sud e a Est, le aree del continente più esposte ai venti. Ma
non ci sono solo i grandi impianti. In Africa, dove i bisogni sono
ancora piccoli, piccoli investimenti possono dare risultati enormi e
segnare il futuro. In Kenya e Tanzania, il boom dei pannelli solari
cinesi sui tetti ha portato il totale del fotovoltaico casalingo ad una
capacità di 10-12 Mw. Sembra una nota a margine nella mappa
dell’energia. Ma per famiglie che non chiedono più di 20 watt, 10 Mw
(cioè 10 milioni di watt) significano mezzo milione di case con
l’elettricità. La rivoluzione dell’energia africana viaggia così.
Il blocco di ghiaccio di 315 miliardi di tonnellate, grande oltre 1.600 km², si è staccato dall'Amery. La glaciologa rassicura: "Fenomeno normale, non dovuto ai cambiamenti climatici. E' lo stato dell'Antartide a preoccupare"